Negli ultimi anni sempre più pensionati italiani hanno deciso di trasferirsi all’estero, attirati da un costo della vita più basso, da condizioni climatiche favorevoli e soprattutto dalla prospettiva di ricevere la pensione senza le trattenute Irpef italiane. Un’opzione che, per molti, significa aumentare il proprio potere d’acquisto e vivere una pensione più serena.
Ma c’è un dettaglio che troppo spesso viene sottovalutato: non tutti i pensionati hanno gli stessi diritti fiscali. In particolare, chi ha lavorato per lo Stato italiano – i cosiddetti ex Inpdap, oggi gestiti dall’INPS – non gode delle stesse agevolazioni fiscali riservate ai pensionati del settore privato. E il trasferimento all’estero rischia di trasformarsi in un’amara delusione.
Cosa succede ai pensionati pubblici che si trasferiscono all’estero?
La regola generale, contenuta nelle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione, stabilisce che:
- le pensioni del settore privato possono essere tassate nel Paese di residenza fiscale del pensionato;
- le pensioni del settore pubblico, invece, devono essere tassate nello Stato che le eroga, cioè l’Italia.
Questo principio è sancito dall’articolo 19 del modello OCSE, e viene applicato dalla gran parte dei trattati stipulati dall’Italia. In pratica, anche se un ex dipendente statale si trasferisce all’estero e fissa lì la propria residenza fiscale, continuerà a ricevere la pensione al lordo delle tasse italiane, senza alcuno sgravio.
Un’eccezione per pochi (pochissimi) casi
L’unica eccezione prevista riguarda i pensionati pubblici che oltre alla residenza estera possiedano anche la nazionalità del Paese ospitante. In questo caso, alcuni Stati possono assumere la competenza fiscale sulla pensione, ma solo se ciò è previsto dagli accordi bilaterali.
Attualmente, sono solo quattro i Paesi che, in base alle convenzioni con l’Italia, consentono l’esenzione dalla tassazione italiana anche per i pensionati pubblici:
Cile
Tunisia
Senegal
Australia
In tutti gli altri casi – inclusi i Paesi UE più gettonati come Portogallo, Spagna o Albania – i pensionati ex Inpdap continueranno a subire la trattenuta fiscale italiana, pur vivendo e pagando servizi (sanità, trasporti, sicurezza) all’estero.
Cosa rischia un pensionato ex Inpdap che si trasferisce?
Se un ex dipendente pubblico italiano si trasferisce in un Paese estero pensando di ottenere la pensione lorda, rischia due cose:
- Continua a subire le trattenute fiscali italiane, nonostante risieda all’estero.
- Lo Stato estero potrebbe chiedergli comunque il pagamento delle imposte, visto che usufruisce dei servizi locali (sanità, trasporti, istruzione).
In assenza di convenzioni chiare, si rischia una doppia imposizione o, nella migliore delle ipotesi, nessun vantaggio fiscale reale.
( fonte https://www.money.it/trasferirsi-estero-dopo-la-pensione-la-beffa-per-i-dipendenti-pubblici)
In sintesi: attenzione prima di espatriare
Trasferirsi all’estero in pensione può essere una scelta vantaggiosa, ma solo a certe condizioni. Per i pensionati del settore pubblico, è fondamentale verificare:
- quale convenzione fiscale è in vigore tra l’Italia e il Paese di destinazione;
- se la propria pensione è considerata “pubblica” (cioè erogata dallo Stato italiano);
- se si possiede la cittadinanza dello Stato estero, oltre alla residenza fiscale.
Senza questi requisiti, il rischio è di subire una tassazione piena in Italia, senza benefici reali.
Scopri di più sulle nostre azioni https://www.difendimi.com/blocco-rivalutazione-aire/