Quando un lavoratore pubblico ha diritto al riconoscimento delle mansioni superiori?
La questione non è solo tecnica: riguarda la dignità professionale, il riconoscimento delle competenze e, soprattutto, il diritto a un’equa retribuzione.
Con l’ordinanza n. 15304/2025, la Corte di Cassazione ha introdotto un principio importante che interessa migliaia di dipendenti del pubblico impiego.
Il caso: dalla categoria C alla D
La vicenda riguarda un dipendente della Regione Marche, formalmente inquadrato nella categoria C degli Enti locali, ma che di fatto svolgeva attività tipiche della categoria superiore D.
Il Tribunale di Ancona, in primo grado, aveva riconosciuto al lavoratore il diritto alla differenza retributiva, poiché aveva esercitato compiti propri del profilo “Geologo” (categoria D).
La Corte d’Appello, invece, aveva ribaltato la decisione, sostenendo che il lavoratore si fosse limitato a compiti di supporto tecnico e non avesse assunto la responsabilità finale dei procedimenti.
Il principio stabilito dalla Cassazione
La Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, precisando un punto essenziale:
Non è necessario esercitare tutte le funzioni previste per la categoria superiore per vedersi riconosciuto il diritto alle mansioni superiori.
È sufficiente, infatti, che il dipendente svolga attività con contenuto specialistico o professionale elevato, anche se non ha la responsabilità formale del provvedimento conclusivo.
La categoria D, come indicato dalle declaratorie contrattuali, comprende attività che richiedono:
- Conoscenze pluri-specialistiche
- Significativa esperienza
- Analisi ed elaborazione di dati tecnici
La firma finale o la titolarità del procedimento, quindi, non sono condizioni imprescindibili per l’attribuzione delle mansioni superiori.
Perché è importante?
Questa interpretazione apre la strada a maggiori tutele per i dipendenti pubblici, spesso costretti a svolgere incarichi superiori senza un riconoscimento economico adeguato.
Significa valorizzare concretamente il lavoro svolto, al di là delle etichette formali, e garantire che chi si assume responsabilità tecniche o specialistiche riceva la giusta retribuzione.
E ora?
La Corte d’Appello di Ancona dovrà riesaminare il caso, applicando il nuovo principio stabilito dalla Cassazione.
Il giudizio di rinvio dovrà concentrarsi sulle mansioni effettivamente svolte, non limitandosi a valutare la firma o la responsabilità formale, ma analizzando la natura sostanziale del lavoro svolto.
Fonte: https://www.orizzontescuola.it/cose-una-mansione-superiore-nel-pubblico-impiego-la-corte-di-cassazione-con-una-ordinanza-indica-un-principio-chiarificatore/
Il nostro commento
Questa ordinanza rappresenta un passo avanti decisivo per i lavoratori del pubblico impiego.
Spesso, dietro la rigidità delle griglie contrattuali si nascondono situazioni di sfruttamento silenzioso, con dipendenti che ricoprono ruoli superiori senza adeguato riconoscimento.
Inoltre questa interpretazione apre la strada a maggiori tutele per i dipendenti pubblici, spesso costretti a svolgere incarichi superiori senza un riconoscimento economico adeguato.
Una mansione formalmente minore non significa solo un importo stipendiale più basso, ma si traduce anche in un TFR ridotto e una pensione futura inferiore.
Questo crea un danno economico importante e duraturo per il lavoratore, che si ripercuote anche negli anni successivi al termine dell’attività lavorativa.
Non è accettabile che chi lavora di più e con maggiori responsabilità riceva meno: serve giustizia e rispetto per il valore reale delle mansioni svolte.
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