Con la sentenza del 9 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha stabilito che anche le pensioni di invalidità calcolate interamente con il sistema contributivo hanno diritto all’integrazione al trattamento minimo, pari a 603 euro al mese.
Si tratta di una decisione storica, che modifica quanto previsto dalla riforma Dini del 1995, fino a oggi applicata per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale.
Chi riguarda questa novità?
La nuova disposizione interessa tutti quei lavoratori che hanno iniziato a versare contributi dal 1° gennaio 1996 e che quindi rientrano nel sistema contributivo puro.
Fino a oggi, per chi era interamente nel sistema contributivo, l’assegno ordinario di invalidità non prevedeva l’integrazione al minimo: un vincolo che spesso portava molti pensionati a percepire importi inferiori, pur trovandosi in condizioni di grave fragilità.
Con questa sentenza, invece, anche questi lavoratori potranno contare su un assegno minimo garantito di 603 euro al mese, come già previsto per le pensioni liquidate con sistema retributivo o misto.
Come cambia l’importo dell’assegno di invalidità?
L’assegno di invalidità, se calcolato in base ai contributi, potrà ora essere integrato fino al raggiungimento di 603 euro al mese (importo minimo previsto per il 2025).
Se sulla base dei contributi versati l’importo risulta inferiore, sarà quindi lo Stato a garantire l’integrazione.
Da quando si applica la nuova regola?
La Corte Costituzionale ha stabilito che la misura non avrà effetto retroattivo, per evitare un impatto eccessivo sulla finanza pubblica.
La decorrenza è fissata al giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale, ovvero dal 10 luglio 2025.
Chi percepisce l’assegno ordinario di invalidità vedrà quindi applicato il nuovo minimo già nei prossimi pagamenti, senza necessità di presentare domanda o inoltrare richieste specifiche.
Cosa dice la Corte Costituzionale?
La Corte ha sottolineato che l’eliminazione dell’integrazione al minimo per le pensioni di invalidità contributive non garantiva, come previsto, la sostenibilità finanziaria, dal momento che il trattamento minimo è finanziato tramite la fiscalità generale.
Inoltre, ha evidenziato che l’assegno di invalidità può servire molto prima della vecchiaia: un lavoratore in età attiva, colpito da una grave invalidità, rischiava di restare senza un supporto economico dignitoso se non aveva i requisiti per accedere all’assegno sociale (oggi riservato a chi ha almeno 67 anni).
La Corte ha anche ribadito che l’assegno di invalidità non può essere considerato un premio per chi decide di uscire anticipatamente dal mercato del lavoro, ma un aiuto indispensabile per chi non può più svolgere la propria attività a causa di una riduzione grave della capacità lavorativa.
Alla luce di tutto questo, la norma della riforma Dini (articolo 1, comma 16, legge 335/1995) che negava l’integrazione al minimo è stata ritenuta lesiva dell’articolo 3 della Costituzione, relativo al principio di uguaglianza, e quindi dichiarata illegittima.
Fonte https://www.fanpage.it/politica/pensioni-di-invalidita-cosa-cambia-con-la-sentenza-della-consulta-assegno-non-puo-scendere-sotto-i-603-euro/
Il nostro commento
Questa sentenza segna un momento di svolta per il nostro sistema previdenziale: garantire a tutti un trattamento minimo dignitoso, anche in caso di invalidità contributiva, significa riconoscere il valore della persona oltre la logica dei numeri e dei contributi versati.
Si tratta di una scelta che promuove l’inclusione, tutela i più fragili e corregge una disparità che per troppo tempo ha penalizzato chi, già colpito da una grave invalidità, si trovava a vivere con un sostegno economico insufficiente.