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LA CEDU CONDANNA L’ITALIA PER MANCANZA DI TUTELA CONTRO LA VIOLENZA DOMESTICA E PER IL RITARDO NELLA TRATTAZIONE DEL RICORSO CIVILE E DEL GIUDIZIO PENALE INTERNI


Con la sentenza Scuderoni c. Italia del 23 settembre 2025, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha
condannato lo Stato italiano per la violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, riconoscendo una responsabilità per omissione nella tutela della ricorrente e di suo figlio,
entrambi vittime di violenza domestica.


La Corte ha ritenuto che le autorità italiane non abbiano adottato misure effettive e tempestive per
prevenire gli abusi, nonostante le denunce ripetute e la presenza di elementi che avrebbero dovuto indurre
a un’immediata protezione. In particolare, è stato censurato il fallimento sistemico nella valutazione del
rischio, nonché l’inerzia delle autorità giudiziarie e di polizia.
La sentenza riafferma l’obbligo positivo degli Stati di proteggere le vittime da atti di violenza domestica
confermando la giurisprudenza consolidata della Corte sul punto e ha espressamente censurato il ritardo
con il quale il ricorso depositato dalla ricorrente è stato trattato, posto che la prima udienza è stata fissata
dopo oltre 9 mesi nonostante la evidente urgenza della procedura.
La Corte ha poi puntualizzato che il procedimento penale durò quattro anni, con più giudici succedutisi, e
che non fu garantita tempestività né certezza nel contrastare la violenza segnalata.
La CEDU osserva che, anche se in sede penale vi sia stata archiviazione o assoluzione, il processo civile ha
una propria autonomia istruttoria e il giudice civile ha l’obbligo di valutare la sussistenza dei maltrattamenti
con i mezzi adatti, indipendentemente dall’esito penale.


Inoltre la sentenza richiama il decreto legislativo n. 149/2022 ricordando che lo stesso è stato introdotto
per garantire misure di protezione prioritarie in cause di separazione, affidamento, abitazione familiare,
anche quando i fatti non costituiscono reato penalmente perseguibile.


La CEDU ha infine condannato l’Italia al pagamento di 15.000 euro per danni morali alla ricorrente ed euro
10.000 per spese processuali, sottolineando la necessità di un cambio di atteggiamento nella gestione dei
casi di violenza di genere da parte delle autorità interne.

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